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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 56
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originale
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56 Tu vates Boeotios credis Lebadiae vidisse ex gallorum gallinaceorum cantu victoriam esse Thebanorum, quia galli victi silere solerent, canere victores. Hoc igitur per gallinas Iuppiter tantae civitati signum dabat? An illae aves, nisi cum vicerunt, canere non solent? "At tum canebant nec vicerant: id enim est", inquies, "ostentum." Magnum vero, quasi pisces, non galli cecinerint! Quod autem est tempus, quo illi non cantent, vel nocturnum vel diurnum? Quodsi victores alacritate et quasi laetitia ad canendum excitantur, potuit accidisse alia quoque laetitia, qua ad cantum moverentur.
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traduzione
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56 Tu credi che a Lebadia gl'indovini della Beozia abbiano compreso, in base al canto dei galli, che la vittoria sarebbe spettata ai tebani, perch? i galli son soliti tacere quando sono vinti, cantare quando sono vincitori. Dunque a una citt? di quella fatta Giove avrebbe dato il segnale della vittoria servendosi di miserabili galline? O forse quegli uccelli non sogliono cantare se non in caso di vittoria? "Ma in quel caso cantavano, eppure non avevano ancora vinto: in questo," tu dirai, "consiste il prodigio." Gran prodigio davvero, come se avessero cantato non i galli, ma i pesci! E qual tempo c'? in cui i galli non cantino, sia di notte sia di giorno? Se, quando sono vincitori, si sentono spinti a cantare per una sorta di gioiosa eccitazione, avrebbe potuto accadere lo stesso anche per un altro motivo di allegrezza, che li incitasse al canto.
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